Ha avuto allievi premi Nobel, capi di governo e anche fautori dell’uscita dalla UE. Ma oggi l’università è sotto shock. Siamo andati nel cuore della tradizione British, dove professori e studenti stanno immaginando una nuova via.
Vedi Oxford e poi cambi. Così scrive Oscar Wilde nel De Profundis. (...) Oggi, a un mese dal voto che ha deciso il divorzio del Regno Unito dall’Unione Europea, torniamo nella più antica università del mondo anglosassone. Cent’anni dopo Wilde, una ragazza nata a Eastbourne, nella seaside anti-Europa, arriva a Oxford, nella città più cosmopolita d’Inghilterra, e si laurea in geografia. Si chiama Theresa May, sarebbe diventata la seconda donna primo ministro del Regno Unito.

Nella più antica università inglese si formano studenti provenienti da ogni angolo del pianeta. Oltre 140 nazionalità, la quinta più numerosa è italiana (veniamo dopo Stati Uniti, Cina, Germania e India). Nel 2015 hanno studiato qui 22 mila giovani. Il 41% non proveniva dal Regno Unito: il 15% di questi arrivava dall’Unione Europea, che nell’anno accademico 2014-2015 ha contribuito con 66 milioni di sterline per la ricerca. L’ateneo in aprile si era espresso ufficialmente contro l’uscita dalla UE. Ora teme di perdere quei fondi, e non solo. «C’è il danno alla reputazione, impossibile da quantificare» ci spiega Martin McLaughlin, Agnelli-Serena Professor of Italian Studies a Oxford e traduttore di Italo Calvino. (...)
Eppure in Inghilterra Oxford è considerata un’astronave d’eccellenza, capace di produrre un élite nazionale e internazionale, ma non in grado di rappresentare il Paese. Ed è vero, in parte. L’approfondimento accademico può diventare isolamento sociale. (...) La comunità di Oxford non può certo rappresentare la nazione: «Nessuno qui si aspettava il risultato del referendum?» si chiede Sergey Minov, dottorando russo, studioso del culto dei Santi. «Ovvio, questo non è il Paese reale». «Troppe persone provenienti da background diversi, tutte insieme» racconta Douglas, che ha guidato la manifestazione anti-Brexit quattro giorni dopo il voto tra le strade della città. È molto arrabbiato: «Sono nato qui, ma sono un cittadino europeo. La UE ci ha garantito settant’anni di pace e opportunità. Davvero vogliamo perdere tutto questo?».
Oxford non rappresenta l’Inghilterra, ma non è una bella bolla blu (il colore ufficiale dell’università). Accogliendo persone da tutto il mondo, rappresenta il passato e il presente del Regno Unito: un Paese internazionale, che vive già sulle spalle degli immigrati, argomento centrale della campagna pro-Brexit. Come ci spiega Nicola Gardini, molisano, professore di Letterature comparate a Oxford: «Il sistema britannico si regge sugli stranieri: scuola, sanità, servizi. Quanti si ricordano che io qui pago le tasse, che la mia formazione è stata pagata dall’Italia, che loro ne godono i frutti?». Il Regno Unito da solo non ce la fa.
Racconta il professor Luciano Floridi, che dirige la ricerca dell’Oxford Internet Institute: «Sa come lo spiego ai miei studenti? Dico: se siamo in cinque, c’è un’auto da spostare e diamo una spinta a turno, l’auto non si muove; se spingiamo tutti insieme, la spostiamo. Ma vallo a spiegare agli inglesi!». Agli inglesi, certo, va spiegato. A Oxford invece l’hanno capito: va riconosciuto. Sanno che Brexit è un rischio enorme. La bella bolla blu potrebbe scoppiare. E sarebbe una perdita per tutti. (...)
Di stefania Chiale. Foto: The New York Times / Contrasto