venerdì 19 agosto 2016

DOPO LE ILLUSIONI DELLA BREXIT, ARRIVA LA REALTÀ: L’INGHILTERRA È IN RECESSIONE

Chi pensava che il risultato del referendum non avrebbe intaccato la solidità dell’economia britannica si sbagliava. Le stime lasciano presagire uno scenario solo: la recessione. Le difficoltà per Theresa May aumentano.

pubblicato da: www.linkiesta.it

Image result for brexitDopo gli annunci e le previsioni arrivano i dati. Il costo della Brexit inizia pian piano a definirsi. A meno di due mesi dal referendum che ha avviato l’addio del Regno Unito all’Ue e a quasi un mese dall’arrivo del nuovo esecutivo britannico, i costi della Brexit diventano tangibili. Aumento dell’inflazione, aumento dei prezzi di beni e servizi e allentamento della domanda, con conseguente aumento dei costi per i produttori. Soltanto nel mese di luglio il Regno Unito ha visto crescere dello 0,6% il livello dell’inflazione, che per la Bank of England dovrebbe arrivare a toccare quota 3% nel 2017. Si tratta del più forte aumento registrato dal novembre 2014. Il trend dell’alta inflazione associata a una sterlina debole – il pound ha perso almeno 10 punti percentuali rispetto al dollaro – con il conseguente aumento dei prezzi dell’import, preoccupa economisti e grandi aziende.

L’aumento dell’inflazione ha colpito per ora il trasporto ferroviario, con un aumento dei prezzi dell’1,6% soltanto nell’ultimo mese, ma anche bevande alcoliche, tabacco e i prezzi di ristoranti, alberghi e materie prime.

Per ora nessuno osa dirlo a gran voce, ma se prolungato, il mix di alta inflazione, bassi consumi e crescita lenta o pari a zero significa soltanto una cosa: recessione. Uno scenario che per la verità tanto la Bank of England quanto l’Office for the National Statistics avevano previsto chiaramente già durante la campagna referendaria, ribaltato dai sostenitori della Brexit. Sempre la Bank of England, che per ora non sembra particolarmente preoccupata per il livello dell’inflazione, non ha escluso ulteriori tagli ai tassi di interesse, per l’istituzione i timori più forti arrivano dal rallentamento della crescita e un’improvvisa impennata della disoccupazione.

Per chi, tra i cittadini britannici, ritiene la Brexit un fenomeno lontano e intangibile, gli effetti rischiano di essere molto più che concreti. Ad oggi il rischio di cui Bank of England e l’Office for the National Statistics parlano è quello di una lenta e lunga impasse economica dalla quale il Paese uscirà fortemente indebolito e più diviso che mai. I primi a risentire gli effetti negativi saranno proprio i lavoratori meno qualificati che a fronte di un incremento dei prezzi vedranno praticamente azzerarsi il proprio potere di acquisto.

Per il think tank Resolution Foundation nemmeno la prospettiva di tagliare il numero degli arrivi di migranti intra Ue riuscirà ad avere gli effetti propagandati durante la campagna referendaria. Meno migranti europei significa certo meno concorrenza nella ricerca del lavoro, ma non conseguente aumento sostanziale dei salari per i meno qualificati né automatica occupazione per chi è alla ricerca di lavoro. In un mercato dove la forza lavoro fino a oggi è stata altamente mobile, garantire la piena rispondenza della forza lavoro nazionale all’offerta delle aziende non sarà un processo immediato, con il risultato che la prima conseguenza per anni sarà un taglio dei posti e non un loro aumento. I sindacati e alcuni analisti prevedono una diminuzione brusca dei salari già a partire dal prossimo anno, con conseguenze prevedibilmente negative a livello sociale.

Le performance economiche britanniche dell’ultimo mese vengono lette in modo diverso da economisti e analisti. Non manca chi guarda in modo scettico all’immediato legame tra alta inflazione e Brexit.