martedì 16 agosto 2016

LA BREXIT SI ALLONTANA SEMPRE DI PIU'

Berlino e Londra trattano sul 2019

Merkel preme su May. A Londra mancano ancora i negoziatori.

Era il 24 giugno. Doveva essere l’alba del Regno Unito indipendente, e invece niente. Prima di partire per le vacanze nella libera Svizzera Theresa May annunciava la richiesta di uscita dall’Unione europea «all’inizio del 2017», e invece niente. Fonti citate dalla Stampa e dal Times raccontano una verità diversa. La richiesta formale di uscita potrebbe partire a maggio, o dopo le elezioni politiche tedesche, e per questo la Gran Bretagna potrebbe rimanere membro a tutti gli effetti dell’Unione almeno fino a Natale del 2019.

A gestire le complicate conseguenze della Brexit non sono pronti né il governo di Londra, né quello francese, né tantomeno quello tedesco. A Parigi si vota in primavera, a Berlino in autunno, ma prima di allora Angela Merkel ha due test elettorali importanti, nella capitale e nel Lander più grande di Germania, in Nordreno Vestfalia. La destra populista non ne vuol sapere di pagare il conto dell’uscita di Londra (undici virgola tre miliardi di contributi al bilancio comunitario) e così nel faccia a faccia di metà luglio la Merkel ha chiesto alla collega di prendersi tutto il tempo necessario. La leader tedesca vuole che a gestire la trattativa sia il pletorico Consiglio europeo a 27, e non il negoziatore scelto dalla Commissione, Michel Barnier. Del resto come si fa a chiedere l’uscita dall’Unione mentre le Borse di Londra e Francoforte annunciano le nozze fra gli squilli di tromba?

«C’è un’enorme differenza fra uscire dall’Unione e mantenere le nostre relazioni con l’Europa», diceva in luglio il neoministro degli Esteri Boris Johnson. La politica londinese sembra contagiata dall’arte tutta italiana della retorica e del traccheggio. Nel governo May ci sono due ministri impegnati a gestire le conseguenze del referendum. David Davis è segretario alla Brexit, e deve assumere cinquecento collaboratori: per ora ne ha meno della metà. A Liam Fox, il ministro per il Commercio internazionale, servono mille esperti: il Times racconta che ne ha trovati un centinaio. Si dice che un buon leader politico dovrebbe avere un piano anche in caso di sconfitta, Wolfgang Schaeuble osserva sarcastico che i sostenitori della Brexit non avevano un piano nemmeno per gestire la vittoria.

Per spostare più in là il momento delle decisioni ci sono ottimi argomenti. La Gran Bretagna deve anzitutto decidere quando presentare la domanda di uscita, e la Merkel ha detto che la scelta spetta a Londra nei tempi che riterrà opportuni. Poi il Consiglio europeo dovrà discutere le «linee guida» della trattativa. Fatto questo scatteranno i negoziati veri e propri - sempre con il Consiglio - il quale dovrà approvare l’accordo con una maggioranza qualificata di venti Paesi pari al 65 per cento della popolazione. Se e quando ci sarà l’accordo, il Parlamento europeo dovrà ratificare. Non è detto che ciò avvenga in due anni: il Consiglio (stavolta all’unanimità) potrà concedere una proroga. Due anni servirono alla Groenlandia per gestire il suo divorzio, e l’unico serio argomento di discussione era la pesca.
pubblicato da: www.lastampa.it leggi l'intero articolo